venerdì 15 gennaio 2016

Intervista al direttore della Cappella Musicale del Duomo di Milano

Don Claudio Burgio intervistato su "Amadeus" di gennaio



Lei è erede diretto di una tradizione che attraversa i secoli; cosa vede quando si volta indietro?
Come attuale direttore della Cappella musicale sento alta la responsabilità di un compito che non parte da me e non finisce con me. Sono nell’alveo di una tradizione che mi precede e della quale riconosco tutto il valore storico, culturale, ma soprattutto spirituale ed ecclesiale. Vedere come, nonostante l’evolvere nei secoli di gusti e stili musicali diversi, la musica in Duomo abbia mantenuto intatti certi suoi requisiti è per me stimolo a non cedere a molte tendenze “innovative” che in più di una occasione mi sono state prospettate, come quella di eliminare i pueri e introdurre le voci femminili. Non vedo perché, in nome di una presunta modernizzazione della Cappella, dovrei rinunciare alla vocalità unica dei pueri. (…)
E  se guarda avanti?
Cerco di consegnare ai nuovi pueri e alla Chiesa ciò che mi è stato donato attraverso la musica sotto le volte di questo stesso Duomo: il gusto per l’arte, per la bellezza che educa alla vita e alla fede. Chissà che un giorno avvenga per uno dei miei pueri quello che è avvenuto per me. Sarebbe bello passare il testimone nella direzione della Cappella a qualcuno che, come me, ci è nato e cresciuto. Musicalmente parlando, spero si mantenga vivo lo storico patrimonio musicale del Duomo come segno di una tradizione che non e solo memoria del passato, ma vive in dialogo con la modernità.  Pensando al futuro, occorrerà incrementare l’educazione musicale nelle nuove generazioni, a cominciare dal mondo della scuola che da
troppo tempo, in Italia, non si occupa più della musica "colta". Anche la Chiesa dovrebbe tornare a fare Musica con la "M" maiuscola nelle sue parrocchie e, per questo, e necessario che tomino i musicisti e i veri artisti. Questa è la speranza che coltivo, guardando avanti, per il bene dei giovani e della Chiesa stessa>>.
Che cosa è per lei la "musica sacra"?
E’ un’esperienza "estetica" che come ogni linguaggio sonoro stimola la mia percezione uditiva e la mia sfera emotiva e intellettiva; ma è soprattutto un’esperienza "estatica", un metalinguaggio che mi mette in contatto con l’Assoluto. Lungi dall'essere semplicemente un ornamento dell’azione liturgica, la musica è sacra perché è un ponte sull'eternità. Non deve rispondere a esigenze utilitaristiche di consumo e non
deve necessariamente produrre godimento dei sensi fine a se stesso. Nella sua espressione più profonda, la musica è manifestazione del divino e ha, dunque, da sempre un carattere teologico. Anche una mentalità laica e secolarizzata non può prescindere da un’apertura all'Assoluto e la musica è veicolo privilegiato per non spegnere nell'uomo questo desiderio naturale di trascendenza.
La musica liturgica, in questo senso, apre il credente al Mistero che celebra, ma può essere kairos, momento favorevole anche per il non credente, come attesta la conversione di S. Agostino avvenuta grazie al canto degli inni di Ambrogio. Le musiche incise nel cd allegato ad Amadeus ci appartengono, perché arrivano a tutti noi (credenti e non) da un canto lontano scritto nella storia della nostra comune
cultura cristiana. Ci vuole coraggio oggi a pubblicare musica sacra; credo sia, innanzitutto, una grande sfida culturale perché, come ci ricorda Goethe, "ciò che tu hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero"».
Come compositore e direttore, verso quali orizzonti spinge la sua attività creativa e interpretativa?
Come direttore della Cappella musicale del Duomo di Milano non posso,  innanzitutto, non misurarmi con la musica scritta dai miei predecessori. Pur dovendo eseguire musica appartenente a secoli diversissimi della lunga storia di questa Istituzione, non mi sento ostaggio di scelte interpretative rigidamente obbligate; non è scritto da nessuna parte che io debba ricercare e ricreare un modus interpretativo stabilito una volta per tutte. E’ sempre la liturgia viva della Chiesa a ispirarmi il movimento e il colore di un canto, pur cercando di salvaguardare una certa pertinenza estetica legata alla vocalità del tempo in cui un brano è stato composto. Come compositore attingo a piene mani dalla tradizione musicale dei miei predecessori, pur con le necessarie esigenze di pluralità stilistica imposte dall'odierna liturgia.

(dalla intervista di Andrea Milanesi a Don Claudio Burgio 
sul numero di gennaio 2016 della rivista Amadeus)

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